Chi sono

Chi sono

Da bambina avevo tanta nostalgia, i ricordi erano ancora freschi. Bastava chiudere gli occhi per vedere i gelsomini nel giardino di nonna, le pareti di casa mia, bianche con un motivo a onde. Tante onde ci sono state dopo: quelle dell’Atlantico che vidi dall’aereo nel lontano marzo del 1996. Quelle che oggi a volte cavalco, e altre volte invece mi travolgono nella vita.  

Ho lasciato sbiadire i ricordi, non volevo più essere quella diversa. Non volevo più avere un nome impronunciabile, un nome che denunciasse le mie origini. La domanda “Di dove sei?”, che puntualmente arrivava quando dicevo il mio nome, m’infastidiva. “Argentina”, rispondevo, sperando che finisse lì. E invece no, spuntavano Maradona, il tango, il corralito, la crisi economica.

“Come mai siete messi così, avendo un paese bello e ricco di risorse?”. Io alzavo le spalle, in verità non m’interessava. Avrei voluto camuffarmi, soffocare tutto quello che ero stata. In Italia usavo spesso il mio secondo nome, più facile da pronunciare e da scrivere. Nei due anni passati in Spagna, ho cercato di perdere la mia cadenza argentina, che consideravo più volgare e troppo marcata, e mi sforzavo di parlare come gli spagnoli.

Volevo sempre essere come tutti gli altri.

Ma ci si può dimenticare delle proprie radici? È possibile tagliarle ma tenere comunque in vita la pianta? Pensavo di sì. Ero arrabbiata, delusa. Nessuno dovrebbe mai essere costretto a lasciare la propria casa. Ho cercato di incastrarmi in tante case, ne ho cambiate tante. Non sapevo definirmi. Sapevo solo che la mia casa erano i libri, e speravo che un giorno loro mi avrebbero dato una risposta.

E così è stato.

Poco tempo fa, mi sono imbattuta in questa stupenda riflessione del poeta argentino Juan Gelman[1]:

“Non bisognerebbe strappare la gente dalla sua terra o paese, non a forza.

La gente rimane afflitta, la terra rimane afflitta.

Nasciamo e ci tagliano il cordone ombelicale. Ci esiliano e nessuno ci taglia la memoria, la lingua, gli entusiasmi. Dobbiamo imparare a vivere come il garofano dell’aria, esattamente dell’aria.

Sono una pianta mostruosa. Le mie radici sono a migliaia di chilometri da me e non ci lega uno stelo, ci separano due mari e un oceano. Il sole mi guarda quando esse respirano nella notte, dolgono di notte sotto il sole”

Il garofano dell’aria, clavel del aire in spagnolo. È questo che siamo, piante che crescono ovunque, senza radici. A volte però basta un sapore, un odore, un ricordo casuale, per sentirle smuovere piano la terra sotto i nostri piedi.

Le mie radici ricresceranno piano piano qui, in questo blog. Le innaffierò con i libri, andrò alla scoperta di autori di tutto il continente sudamericano e vi porterò con me, se vorrete seguirmi. La letteratura latino-americana è ricca di scrittrici e scrittori che l’Italia non conosce, non ha ancora tradotto o ha dimenticato troppo presto.

Non voglio più essere arrabbiata. Come dice Mario Benedetti nella sua poesia Noción de patria[2]:

“La nostalgia filtra dai libri / s’inserisce sotto pelle /e questa città senza palpebre / questo paese che non sogna mai / diventa all’improvviso l’unico luogo / in cui l’aria è la mia aria e la colpa è la mia colpa. […] Il mio intorno sono gli occhi di tutti / e non mi sento al margine / adesso so che non mi sento al margine. / Forse la mia unica nozione di patria / è quest’urgenza di dire Noi / Forse la mia unica nozione di patria / è questo ritorno al proprio sconcerto”. 

Grazie a chiunque capiti qui e voglia unirsi a me in questo viaggio su e giù per il Sudamerica.

Un ringraziamento particolare va a Coco Cano – artista e illustratore delle copertine dei libri di Eduardo Galeano per Sur – per avermi permesso di usare le sue grafiche. I grandi artisti sono generosi.

Grazie a Giorgia Olivia per aver creato con grande bravura il logo di questo blog, e grazie a Valentina Aversano, che con il suo entusiasmo contagioso mi ha dato lo scossone che mi serviva per buttarmi in quest’avventura.

E infine, grazie alla mia Argentina, che mi ha reso, nel bene e nel male, la donna che sono.


[1] Juan Gelman, Bajo la lluvia ajena. Editore Libros del zorro rojo, 2009. Traduzione mia.

[2] Mario Benedetti, Noción de patria, editore Visor, 1998. Traduzione mia