Recensioni

“La casa della laguna” di Rosario Ferré

18 min di lettura

“Anarchica, pornografica e traditrice della propria classe sociale”. Questo dissero i critici letterari portoricani sulla scrittrice di cui vi parlo questo mese. «Ok, allora è quella giusta per il blog», mi sono detta.

Rosario Ferré (sinistra) con Elena Poniatowska

La scrittrice messicana Elena Poniatowska nel 2016 scrisse nel necrologio dedicato all’amica Rosario Ferré che sembrava sempre una studentessa, seduta sul pavimento o sul letto in posizione di loto, con i suoi jeans e il maglioncino dolcevita. Per Poniatowska, Rosario Ferré era la migliore scrittrice latinoamericana. Senza dubbio, è ancora la più importante intellettuale che la letteratura portoricana abbia mai avuto.

È stata una figlia ribelle, una scrittrice che ha lottato per liberare la letteratura portoricana dal costumbrismo nostalgico e paternalista che l’attanagliava, una femminista che è stata critica sia con il canone patriarcale che con il femminismo radicale ma, soprattutto, una donna che ha sempre avuto il coraggio di difendere le sue idee e cambiarle se lo riteneva giusto e necessario, senza preoccuparsi di piacere agli altri.

Se ho avuto molte opinioni nella mia vita, è perché ho vissuto molte vite. Alla fine, posso dire che in tutte le mie vite ho cercato di fare una cosa fondamentale: restituire al popolo portoricano il rispetto per sé stesso. Quello è stato il mio obiettivo e in questo sono stata coerente. Perché io credo che se qualcuno può riconoscersi in quello che scrivo, riconoscere che ha qualcosa in comune con quei personaggi, allora può capire meglio sé stesso e accettarsi. E nel momento in cui ti accetti, ti rispetti di più. Sento che se ho offerto quello spazio a due o tre persone nel mondo, posso essere più che soddisfatta.1

VI PIACERÀ SE

Se vi piacciono le saghe familiari a sfondo storico che si tengono però ben lontane dal realismo magico e dal romanticismo svenevole: Rosario Ferré riesce a contenere con prudenza e buon gusto l’iperbole, la magia nera, l’esotismo e la narrazione voyeuristica delle vite delle famiglie ricche discendenti dai conquistatori europei perché a lei interessa piuttosto raccontare le vicende storiche che hanno portato il Porto Rico a essere il paese che è oggi.

L’EDITORE

Fazi Editore nacque a Roma nel 1994, quando Elido Fazi, rientrato in Italia dopo una lunga permanenza a Londra come manager dell’Economist, decise di dare vita alla sua aspirazione di sempre, diventare editore. Negli ultimi anni, la casa editrice Fazi è stata in grado di rilanciare libri di autori appartenenti al passato trasformandoli in grandi successi, il caso più eclatante è stato Stoner di John Williams. Il romanzo La casa della laguna di Rosario Ferré è uscito nel 1999 nella collana di narrativa “Le Strade”. Purtroppo nel sito dell’editore il romanzo non è più disponibile (spero lo ristamperanno un giorno), ma potete ancora trovarlo in giro usato.

BREVE STORIA DEL PORTO RICO

Non si può capire l’opera di Rosario Ferré senza conoscere un pochino la storia del Porto Rico, vi farò perciò un breve riassunto delle vicende storiche di quella che è considerata “la colonia più antica del mondo”. Il Porto Rico, infatti, non è mai stato un paese indipendente: è stato soggetto prima alla Spagna e poi agli Stati Uniti, a cui ancora oggi appartiene.

Nel 1493, Cristoforo Colombo mise piede nell’isola e nel giro di poco tempo gli spagnoli sterminarono la popolazione autoctona degli indios Taino, che chiamavano il loro paese “Borikén” (terra del signore valoroso). Ancora oggi i portoricani si autodefiniscono “boricua” in riferimento all’antico nome dell’isola. Per quattro secoli, il Porto Rico fu una delle più importanti colonie spagnole nel mar dei Caraibi, ma nel 1898 scoppiò la guerra ispano-americana e in soli venti giorni l’isola passò sotto il dominio degli Stati Uniti, cessione formalizzata dal trattato di Parigi.

Immagine molto dura del vignettista statunitense Andy Marlette.

Nel 1901 gli Insular cases distinsero tra i territori incorporati dagli Stati Uniti (come Alaska e Hawaii) e quelli non incorporati, tra cui ovviamente il Porto Rico, per cui così Washington era autorizzata a governare sull’isola senza estendere ai suoi abitanti i diritti goduti dai cittadini statunitensi. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, però, gli Stati Uniti avevano bisogno di uomini da mandare in trincea e con il Jones-Shafroth Act venne concessa la cittadinanza americana ai portoricani, che quindi diventavano arruolabili senza avere ancora diritti politici.

Nel 1947, gli Stati Uniti concessero ai portoricani di eleggere democraticamente il proprio governatore ma il desiderio di autonomia cresceva, assumendo anche forme violente: il 1° novembre del 1950, infatti, due nazionalisti portoricani (Griselio Torresola e Oscar Collazo) tentarono di assassinare il presidente Truman. Nel 1952, allora, fu concesso al Porto Rico un referendum in seguito al quale l’isola divenne parte del Commonwealth statunitense, cioè uno Stato libero associato che è comunque di fatto ancora una colonia. Il Porto Rico ha sì una propria costituzione, ma non ha ancora voce in capitolo sulla propria politica estera e commerciale e i cittadini non possono votare per eleggere il presidente degli Stati Uniti.

Insomma, nulla è cambiato dai tempi degli Insular cases, quando il New York Times descriveva i portoricani come «persone ignoranti, semplici e innocue, interessate solo al vino, alle donne, alla musica e al ballo». La lotta dei portoricani per definire il loro status politico, tuttavia, non si è mai arrestata e in tre referendum (1967, 1993 e 1998) i cittadini si sono rifiutati di unirsi agli Stati Uniti come 51° Stato federale. Nel referendum del 2012, però, i cittadini portoricani per la prima volta hanno votato per l’annessione agli Stati Uniti, spinti probabilmente dalla difficile situazione economica, e così anche nel 2020.

Il problema è che questi referendum sono sempre non vincolanti per il governo statunitense, che continua a ignorarli. Il 1° luglio del 2024, l’attuale governatore del Porto Rico Pedro Pierluisi ha convocato provocatoriamente l’ennesimo referendum, che si terrà proprio il 5 novembre mentre gli statunitensi voteranno per scegliere Donald Trump o Kamala Harris. Pierluisi ha detto che è l’unico modo per esigere una decisione al Congresso statunitense. «Puerto Rico ha il diritto e l’obbligo morale di continuare a fare pressione», ha dichiarato. Vedremo cosa succederà questa volta…

“IN FUTURO, OGNI DONNA DOVRÀ ESSERE UNA REPUBBLICA”: IL FEMMINISMO DI ROSARIO FERRÉ

Rosario Ferré nacque a Ponce, nel sud del Porto Rico, il 28 settembre del 1938. Suo padre, Luis Alberto Ferré, fu governatore dell’isola all’inizio degli anni ’70 e sua madre Lorenza Ramírez de Ferré era una professoressa cattolica. Una donna discreta, si diceva di lei. Bene, sua figlia invece fu tutto l’opposto.

Alla morte della madre, Rosario dovette succederle come First lady accanto al padre. L’integrità personale di Luis Alberto Ferré era ampiamente riconosciuta e in più era un importante esponente del movimiento estadista (favorevole cioè all’annessione agli Stati Uniti). C’era però una grossa ombra nella sua gestione: la repressione violenta di uno sciopero studentesco nell’Universidad de Puerto Rico conclusasi con la morte di una studentessa, Antonia Martínez Lagares. Rosario Ferré prese una decisione che la fece immediatamente diventare un’icona per tutta una generazione: lasciò l’incarico di First lady, s’iscrisse proprio all’Universidad de Puerto Rico e s’impose sulla scena culturale come indipendentista. Esattamente la posizione politica opposta a quella del padre.

Copertina di Zona de Carga y de Descarga

Non contenta, creò una rivista letteraria trasgressiva, Zona de Carga y de Descarga, per dare uno scossone al mondo culturale portoricano e parlare di temi come la lotta di classe, il razzismo e, soprattutto, la sottomissione a cui erano soggette le donne. In questo senso, l’esperienza di Rosario Ferré con Zona de Carga y de Descarga si potrebbe quasi paragonare a quella di Victoria Ocampo in Argentina con la rivista Sur. Si adattano perfettamente a questa fase della vita di Rosario le seguenti parole scritte da Victoria Ocampo nella raccolta Testimonios:

In questo mondo sono nata dalla parte dei privilegi, dalla parte dei favoritismi però man mano che li smaschero li aborrisco, e man mano che divento cosciente di essi, li ripudio. È una lenta liberazione. Non m’illudo di fare rapidi progressi in questo cammino…2

Rosario Ferré è stata autrice di racconti, poetessa, saggista e romanziera e in tutte le sue opere la finzione è sempre stata intrecciata alla realtà del suo paese e alla dipendenza del Porto Rico dagli Stati Uniti. Ma, soprattutto, ha denunciato la situazione di abuso nei confronti delle donne da parte di una società maschilista e profondamente patriarcale. In un’intervista3, ha dichiarato:

Se uno è un uomo, può ignorare tutto questo perché non lo tocca; se io fossi un uomo non m’importerebbe niente, mi metterei a parlare degli uccelli, dei pesci ecc, ma se sono una donna non posso ignorarlo. Tutto il mio comportamento è influenzato da questa situazione, a tutti i livelli.

Rosario Ferré sentì in prima persona questo disprezzo quando iniziò a pubblicare le sue opere, in particolare da parte dei critici letterari portoricani che denigravano la sua produzione. In reazione a tutto ciò, nel 1990 pubblicò El coloquio de las perras, una parodia della novella Il dialogo dei cani di Miguel de Cervantes4.

Qui, attraverso il dialogo tra due cagne, Ferré espone una teoria rivoluzionaria per i tempi: non ci sono differenze tra la letteratura scritta da donne e quella scritta da uomini. La parola è il mattone principale attraverso cui si costruisce la letteratura, c’è solo un dizionario e una sola grammatica per tutti gli autori e tutte le autrici. Non c’è uno stile femminile e uno maschile, perché la letteratura non ha sesso.

La letteratura femminile, differisce da quella maschile per i temi che tratta: le donne hanno avuto in passato un accesso molto limitato alla politica e alle scienze, e per questo la letteratura prodotta dalle scrittrici è spesso stata determinata da un rapporto immediato con il corpo; questo crea loro dei problemi quando si tratta di riconciliare le emozioni con le necessità professionali, ma al tempo stesso le mette a contatto diretto con le forze generatrici della vita.

Ferré denuncia come le donne nei romanzi di José Lezama Lima, José Donoso e Juan Carlos Onetti siano rappresentate sempre in maniera negativa, ma allo stesso modo anche autrici come Clarice Lispector, Isabel Allende e Luisa Valenzuela dipingono gli uomini come esseri tonti o vuoti, in questo modo finiscono per emarginarli così come gli scrittori maschi hanno fatto con le donne.

Il pendolo della critica letteraria ha sempre oscillato verso la letteratura maschile, finché durante gli anni ’70 e ’80 si è spostato verso l’estremo opposto a causa del movimento femminista, mettendo l’enfasi sulla letteratura femminile e cercando di emarginare quella maschile. Quando il pendolo nella sua corsa si fermerà finalmente al centro, non ci sarà differenza tra letteratura maschile e femminile; l’unico parametro dovrà essere semplicemente la qualità letteraria.

Lo stesso pensiero l’aveva espresso la scrittrice colombiana Marvel Moreno (mio grande amore, di cui vi parlo qui), quando disse “il buon scrittore è androgino”. La stessa Marvel scrisse a Rosario Ferré per dirle come si fosse riconosciuta nelle sue opere, dato che la sua Barranquilla assomigliava troppo alla Ponce descritta da Ferré. Tutto ciò ci dimostra una cosa bellissima: come queste scrittrici, nonostante fossero emarginate dalla scena letteraria del momento, fossero connesse tra loro, si appoggiassero e s’influenzassero a vicenda. Alla morte di Marvel Moreno, nel suo emotivo necrologio Rosario Ferré scrisse:

Non ho mai conosciuto di persona Marvel Moreno e adesso che è morta non la conoscerò mai. Ma le nostre anime continuano a riflettersi l’una contro l’altra tra le onde dei Caraibi, come in una lunga fila di specchi.5

IL BILINGUISMO E L’AUTOTRADUZIONE

Di Rosario Ferré si disse non soltanto che avesse tradito la sua classe sociale e il femminismo, ma anche la sua lingua materna. Dopo vent’anni in cui scrisse sempre in spagnolo senza ottenere mai una grande risonanza, Rosario Ferré decise infatti nel 1995 di pubblicare il suo primo romanzo, La casa della laguna, in inglese. Il romanzo ebbe subito un grande successo negli Stati Uniti, vendette più di 100.000 copie e fu finalista nel prestigioso National Book Award, ma le attirò tantissime critiche e ostilità in Porto Rico.

Questo perché, sin dall’instaurazione del regime coloniale, s’impose un discorso di superiorità della lingua e la cultura anglofona, perciò frange del mondo culturale e politico portoricano si afferrarono all’eredità ispanica come un modo per opporsi al dominio statunitense. Rosario Ferré rispose alle critiche così:

Oltre a dire che i miei libri sono “merce”, il che è spregiativo, insistono nel dire che io non scrivo più in spagnolo. Secondo un giovane scrittore, io avrei abbandonato la lingua spagnola perché non è sufficientemente ricca. Lui afferma, come scrittore portoricano, che la lingua spagnola è meravigliosa perché è la lingua di Cervantes e che non è stata ancora utilizzata abbastanza.

Ma io, in quanto traditrice, ho smesso di scrivere in spagnolo e scrivo in inglese per vendere i miei libri e trarne profitto. Guadagnare più soldi. Prima di tutto, questo non è vero. Ogni libro che ho pubblicato in inglese, l’ho pubblicato anche in spagnolo. E ho fatto subito delle versioni in spagnolo proprio per proteggermi da queste accuse.6

Lei stessa si occupò della traduzione del libro in spagnolo e quando le chiedevano quale fosse l’originale, lei diceva che entrambe le versioni lo erano perché s’identificava tanto con lo spagnolo come con l’inglese. Per lei il portoricano è un essere ibrido e le due metà sono ormai inseparabili. Una lingua rivela ciò che l’altra occulta.

Sicuramente scrivere in inglese le ha aperto le porte al mercato editoriale statunitense (e cosa ci sarebbe di male in questo, mi chiedo? Per caso gli scrittori non scrivono forse per pubblicare e vendere?), ma c’era anche un altro motivo dietro: Rosario Ferré visse per lungo tempo lontano da Porto Rico e aveva notato che i figli dei migranti portoricani negli Stati Uniti non erano più interessati a parlare spagnolo perché volevano assimilarsi alla cultura statunitense.

Questo per Rosario Ferré era un “suicidio culturale”, il suo intento era allora quello di scrivere in inglese opere fortemente legate alla cultura portoricana, per avvicinare questi figli di seconda generazione alle loro radici.

Ma Ferré fece un ulteriore passo che non le fu mai perdonato: in età matura, abbandonò l’attivismo a favore dell’indipendentismo e si dichiarò favorevole all’annessione agli Stati Uniti. La posizione politica che era stata di suo padre. Di nuovo “traditrice”.

In verità, questa è l’ennesima prova del suo coraggio e onestà intellettuale: con gli anni, Rosario Ferré divenne sempre più consapevole della fatale dipendenza economica e politica dell’isola, e quest’abbandono delle posizioni indipendentiste è un’amara consapevolezza dell’attuale situazione del Porto Rico. «L’indipendenza non ci conviene – disse – io voglio il bene per il Porto Rico e non voglio che il paese si suicidi. Perché quelli che saranno più danneggiati saranno coloro che rimarranno senza gli aiuti federali, morendo di fame come morivano all’inizio del secolo, perché noi non abbiamo mezzi nostri per sopravvivere».

LA CASA DELLA LAGUNA: TRAMA

La casa della laguna è un palazzo modernista costruito sulle rive della fittizia Laguna de Alamares; le fondamenta della casa sono fatte di mangrovie, e la mangrovia non a caso è il simbolo di Porto Rico: un’area ibrida dove convivono animali acquatici e terrestri, dove terra e acqua si uniscono, proprio come il Porto Rico che è fuori e dentro l’America Latina e anche fuori e dentro gli Stati Uniti.

Protagonista e narratrice di questa saga familiare è Isabel Montfort, che ricostruisce la storia del Porto Rico dal 1917 al 1980 attraverso le vicende della sua famiglia e di quella dei Mendizábal, a cui appartiene il marito Quintín. La particolarità del romanzo sta però in un espediente narrativo insolito: Isabel scrive il manoscritto di nascosto e, man mano che la storia procede, comincia a comparire un secondo narratore che legge, sempre di nascosto: Quintín. La narrazione procede quindi tra la scrittura occulta di Isabel e la lettura dissimulata di Quintín, il che condiziona a sua volta la nostra lettura, perché a un certo punto Quintín comincia a correggere ai margini il manoscritto della moglie.

Assistiamo quindi al gioco psicologico che s’instaura tra i due coniugi: la visione patriarcale e quasi ottocentesca di Quintín, che contesta la versione delle cose raccontata dalla moglie, e il punto di vista di Isabel, spinto da una ricerca d’identità e di un nuovo ruolo delle donne nella società. Lo stesso avvenimento viene raccontato prima da Isabel e poi corretto di nascosto da Quintín, e siamo noi lettori a dover capire dove stia la verità.

Rosario Ferré disse che in entrambi c’è una parte di verità, nessuno dei due ha il monopolio. «Questa è sempre stata la mia posizione», ha aggiunto. Il romanzo denuncia il razzismo, i pregiudizi sociali e il maschilismo e lo fa non soltanto attraverso le vicende narrate, ma anche attraverso le riflessioni che Isabel inserisce in quanto voce narrante.  La casa è uno spazio di segregazione e controllo della donna, ma anche una riproduzione delle gerarchie sociali: la servitù vive negli scantinati tra le mangrovie, mentre Buenaventura e Rebeca, genitori di Quintín, dominano i piani alti del palazzo.

La prospettiva storica è per Rosario Ferré uno strumento fondamentale per affermare una sua convinzione profonda: il Porto Rico deve rivedere il suo passato, auto-analizzarsi e cambiare. E noi lettori, attraverso l’alternanza di due voci contradditorie – una maschile e una femminile – dobbiamo necessariamente prendere una posizione, riempire i silenzi e svelare le falsità e le ipocrisie.

C’è un episodio in particolare che credo non dimenticherò mai: Petra, responsabile della servitù e personaggio quasi mitico, decide di prendersi cura di Carmelina, una bimba di colore di pochi mesi. La porta su nel palazzo per chiedere alla padrona Rebeca l’autorizzazione. Le figlie della padrona, Patria e Libertad, vedono Carmelina e se ne innamorano, «è una bambola nuova solo che beve latte vero e fa la pipì nel pannolino, non è come le vostre bambole di plastica», dice loro Rebeca.

E così la bimba viene trattata dalle due sorelle Mendizábal proprio come una bambola, fino ad arrivare a un episodio terribile che dimostra quanta umiliazione e disprezzo subissero le persone di colore:

A un certo punto Patria disse: «Sono stufa di giocare con una bambola nera. Pitturiamola di bianco, e vediamo come viene». E andarono a prendere il pennello e il barattolo di vernice che l’imbianchino aveva lasciato in cucina. La spogliarono e, mentre la sorella la teneva per la vita, Libertad le spalmava addosso la vernice con il pennello. […] Dopo pochi minuti, Rebeca, Petra e Carmelina corsero, con la Rolls-Royce di Buenaventura, all’Ospedale Presbiteriano, il più vicino a casa. Carmelina aveva perso conoscenza; il piombo della vernice la stava avvelenando7.


PER APPROFONDIRE

Qui trovate una bella intervista di circa mezz’ora realizzata a Rosario Ferré dall’Instituto Cervantes di New York.

Qui invece vi segnalo un articolo molto approfondito sulla storia del Porto Rico, pubblicato dalla nota rivista di geopolitica Limes.

Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti o scrivendomi se vi va qui.

Un abrazo fuerte, vi auguro un mese di bellissime letture e ci risentiamo a fine settembre!

  1. Tratto dall’intervista concessa da Rosario Ferré alla scrittrice Frances Negrón Muntaner nel 2002. La traduzione è mia. ↩︎
  2. Victoria Ocampo, Testimonios, Buenos Aires, Sur, 1936. Traduzione mia. ↩︎
  3. ConNotas. Revista De Crítica Y Teoría Literarias / Vol.II Num. 3 / 2004. Intervista fatta a Rosario Ferré da Dolores Flores-Silva. ↩︎
  4. Opera pubblicata nel ‘600 in cui Cervantes sceglie come protagonisti due cani, Berganza e Scipione, per discutere dei problemi politici e sociali della Spagna del XVII secolo. ↩︎
  5. Il necrologio scritto da Rosario Ferré lo trovate interamente qui, pagine da 132 a 134. Purtroppo è solo in spagnolo ↩︎
  6. Vedi nota 1. ↩︎
  7. Rosario Ferré, La casa della laguna, Fazi Editore, 1999, pag. 245-246. ↩︎

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